La verità è all'origine-tecniche di indagine

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ciampi20
view post Posted on 27/6/2009, 10:43




MESSAGGIO INVIATOMI DA FrancescoM73 NELL'AMBITO DEI VIDEO TECNICA E ASTORICITA'


La verità è all'origine. La pianta è gia presente nel seme, ecc. All'origine di un qualsivoglia cosa si possono scorgere gli elementi genuini e incorrotti che ci indicano l'essenza pura di una tal cosa. Ecco perchè mi fisso sull'antropologia. Es. se voglio sapere cos'è, a cosa serve il linguaggio devo capire il meccaismo che all'origine lo ha fatto scaturire. Se, invece, affronto il problema con tutte le diversificazioni che il linguaggio ha assunto nel corso del tempo non coglierò mai la sua essenza. Generalmente, ogni cosa cambia nelle modalità ma rimane sempre uguale nella sua essenzialità. Il linguaggio esiste per soddisfare un funzione che è uguale ora come prima, ma solo "vedendo" l'origine posso capire appieno il significato.

Heiddeger era, se non sbaglio, fissato per l'origine delle parole. Cercava qualcosa nel "principio". Infatti, di una parola si cerca sempre il suo significato più antico perchè, stranamente, lo si ritiene più attendibile; così come, uno scritto, un'opera più "antica" è sempre più attendibile di quella successiva, ecc.
Addirittura ho pensato per un attimo che la cultura si "stratifica" sovrapponendo l'utile a scapito dell'inutile cioè, le cose più antiche che ci pervengono hanno più valore perchè sono "resistite" al tempo che le ha "liberate" dell'inutile che è fatto dalle false verità, preconcetti,ecc. Quello che resitste al tempo è stato temprato ed è più vero. Ma poi mi sono ricreduto perchè la nostra cultura così come le altre si "regge" su preconcetti assolutamente assurdi. Il problema è individuarli e come? Scoprendo lìorigine. Ti faccio un esempio: hai presente quelle tribù d'indigeni dell'Africa che si dilatano il labbro inferiore o il lobo delle orecchie infilandoci dei pezzi di legno rotondo? Si deformano la faccia in quel modo perchè "fa parte della loro cultura". Gli etnologi si sono fatti la domanda sul "perchè" è hanno scoperto che all'origine appunto, loro hanno cominciato a "deformarsi" per sfuggire alla tratta degli schiavi commessa dagli americani. Gli schiavisti rifiutavano quei mostri. Cosa è successo, che quella pratica "antica" è finita per diventare "cultura". Vagli a spiegare che gli schiavisti non esistono più e possono rinunciare alla loro cultura idiota.

Ad es. abbiamo individuato un problema: la tecnica e la disumanizzazione degli uomini (riassumo così quello che hai evidenziato in tecnica e astoricità). Io ho ravvisato che serve procedere con ordine cioè, prima di indagare sulla tecnica e le sue conseguenze, serve riflettere sullindagine in se. Qual è il giusto metodo investigativo che ti permette di osservare un fenomeno senza tralasciare nessuna prospettiva? (qui poi bisogna anche considerare se il porsi di fronte, se loggettivare sia coerente o meno coi nostri propositi).

come posso comprendere le azioni degli uomini se non conosco la loro natura intima? (nota- ho usato il termine com-prendere che rimanda al significato di circoscrivere che ha il difetto di lasciare fuori altri elementi il problema della contestualizzazione-. È forse meglio usare un altro vocabolo come apprendere o cercarne un altro che si aperto a tutte le possibilità).
Dunque, è un problema delluomo. Ogni nostra azione riconduce alluomo. Tutto il resto sembra predicato delluomo. Il ricercatore studia la pianta in primo luogo per soddisfare la sua curiosità antropologica e poi per amore verso il mondo vegetale, ecc. ..
Certo che sapere cosè luomo sembra impossibile come conoscere tutti i misteri del mondo. Però se non posso conoscere direttamente la natura di una cosa lo posso fare indirettamente. Inoltre, gli uomini siamo noi, si tratta di noi stessi.

E facile notare che il nostro rapporto col mondo è un punto di domanda: cosè? Noi, come tutti i viventi, interagiamo con lesterno mandando un segnale tipo le onde radio e questo segnale consiste in una domanda. Linput cosè? forma unonda che scontrandosi con lesterno ritorna carica della risposta, del riconoscimento (questa concezione forse scardina ulteriormente il solipsismo).
Gli animali più semplici interagiscono con il primo segnale, quello più elementare: Cosè? Buono, brutto. Gli animali superiori invece, aggiungono unaltra domanda, un altro input più esigente per via della loro complessità. La seconda domanda è: cosa fa/comè? cosa fa è ambivalente a comè, dovè, ecc.- . Lerbivoro domanda cosè? Risposta: Leone; cosa fa? R.: Minaccia/non minaccia. Gli uomini sono gli unici che adottano una terza domanda ed è per questo che sono diversi da tutti gli altri. La terza domanda è: perché è?.
Nessun animale si sognerebbe di chiedersi il perché di una cosa o perlomeno, forse in quelli più intelligenti, il perché è una reminescenza che si affaccia di tanto in tanto con effetti trascurabili. Questa scaletta di livelli preannuncia la possibilità di altre domande, altri input, a noi ancora sconosciuti. La nostra natura è aperta ad altre possibilità ulteriori. Ecco il problema della contestualizzazione; non si deve mai tralasciare di tener presente la costante immanente del nostro volgere a, la direzione, la finalità, la possibilità, ecc. oltre che al nostro passato.
Perché dico questo? Perché lindagine, che dicevo prima, deve seguire questo meccanismo naturale, biologico. Pertanto, riconosciuto un elemento da sottoporre ad analisi, da interloquire (gli uomini), dobbiamo risalire alla sua natura ponendoci quelle 3 domande in ordine.
Ti anticipo che, in buona sostanza, ho carpito le risposte a quelle domande, [sono in fondo al pozzo : )] ma non voglio qui dilungarmi.
 
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Masciullo
view post Posted on 28/6/2009, 10:09




Non credevo che i miei messaggi striminziti e approssimativi fossero buoni per un forum. Anzi, pensavo che Ciampi20 mi rispondesse dicendo che non aveva capito, che ero stato poco chiaro, e già mi ripromettevo di fare delle osservazioni solo se avessi chiaro e nitido il contenuto del mio pensiero.
A questo proposito, sono andato a recuperare il file "originario" dove appuntai il nocciolo del ragionamento sull'importanza dell'origine:

"Il segreto sta all'origine. Oggi siamo cambiati ma solo nella forma, in sostanza siamo uguali in tutto ai primitivi. Il passato è parte di noi come le radici di un albero. All'origine è racchiuso il senso delle nostre azioni, in quell'originario ancora puro e incorrotto.

Quando avviene un cambiamento che taglia i ponti col passato ci troviamo di fronte ad una nuova origine.
Il passaggio dalla scimmia all'uomo ha determinato la fine dell'"animale" in virtù di una nuova origine che è l'uomo e non possiamo escludere totalmente il fatto di essere anche dei primati.
La tecnologia è esistita fin dall'origine, come la cultura, ecc. La scimmia bianca senza artigli è sopravvissuta grazie a strategie di carattere sociale, tecnico e culturale proprio come oggi.

La storia si tramanda anche a livello biologico: non chiedetemi come. Chissà perchè più antica è la fonte è più si ritiene sia attendibile. Perchè? Viene accettata come buona automaticamente e prevarica la fonte più recente.
Forse perchè l'attendibilità sta proprio nel suo essere antico. Il valore è attribuito perchè tale fonte è riuscita a superare il filtro del tempo. L'utile rimane dal passato, l'inutile persiste solo nel presente.
In origine gli uomini forse vivevano con spontaneità e innocenza senza preconcetti o presunzioni o fobie come avviene oggi. Capire il passato arcaico ci aiuterebbe a vivere meglio in attesa di una nuova origine o meglio, di una rigenerazione."

Ogni cosa ha una funzione, volge verso una direzione, evolve, ambisce. Ogni ente ha una finalità propria che rimanda alla specie, al genere e al sistema. Non posso de-finire un oggetto come "A" perchè così facendo si isola, mentre se lo indico come "A-verso" (A--->) ecco che includo anche la sua direzione, il diveniente. Ache se ogni realtà è relativa allo sapzio, al tempo, ecc. ciò che rimane come sostanza, il comune denominatore, è il volgere in se, "l'ambire".
E' curioso andare a scoprire quali sono quelle condizioni contrarie che ci mettono in contraddizione creando esempi di "A<---", ma poi si dovrebbe chiarire se certe situazioni siano anch'esse funzionali ad altri fini anch'essi coerenti... adesso mi sto perdendo un po':
per capire la "direzione" dobbiamo necessariamente scoprire l'origine che ci indica la funzione, il bisogno per cui è nato un cambiamento, ecc.

Pensavo, molto superficialmente, che Heiddeger fosse andato alla ricerca dell'origine della parola "essere" concludendo poi che si trattasse del tempo e che avesse intitolato la sua opera in quel modo omettendo l'accento sulla congiunzione. Poi, leggendo una introduzione a "essere e tempo" mi sono chiaramente ricreduto perchè tratta il problema dell'essere molto approfonditamente di come presumevo. Nulla toglie che H. abbia fatto quella ricerca dell'origine del significato dell'essere finendo per arenarsi forse in Anassimandro che, se non ricordo male, paragonava l'essere all'acqua, una definizione poco convincente per le esigenze di oggi.
FrancescoM73
 
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ciampi20
view post Posted on 29/6/2009, 17:52




Ho capito la tua prospettiva.Non credo però che necessariamente la verità stia nell'etimologia.Sicuramente ci fa capire molte cose. Interessanti delle lezioni sui bisogni essenziali dell'uomo...Ma cosa ti costa scrivere qualche frase ogni sera..dopo una settimana hai già fatto un video.Ma quali testi hai approfondito di antropologia o etnologia non ricordo? Mi fai un esempio di direzione di A?

CITAZIONE (Masciullo @ 28/6/2009, 11:09)
Non credevo che i miei messaggi striminziti e approssimativi fossero buoni per un forum. Anzi, pensavo che Ciampi20 mi rispondesse dicendo che non aveva capito, che ero stato poco chiaro, e già mi ripromettevo di fare delle osservazioni solo se avessi chiaro e nitido il contenuto del mio pensiero.
A questo proposito, sono andato a recuperare il file "originario" dove appuntai il nocciolo del ragionamento sull'importanza dell'origine:

"Il segreto sta all'origine. Oggi siamo cambiati ma solo nella forma, in sostanza siamo uguali in tutto ai primitivi. Il passato è parte di noi come le radici di un albero. All'origine è racchiuso il senso delle nostre azioni, in quell'originario ancora puro e incorrotto.

Quando avviene un cambiamento che taglia i ponti col passato ci troviamo di fronte ad una nuova origine.
Il passaggio dalla scimmia all'uomo ha determinato la fine dell'"animale" in virtù di una nuova origine che è l'uomo e non possiamo escludere totalmente il fatto di essere anche dei primati.
La tecnologia è esistita fin dall'origine, come la cultura, ecc. La scimmia bianca senza artigli è sopravvissuta grazie a strategie di carattere sociale, tecnico e culturale proprio come oggi.

La storia si tramanda anche a livello biologico: non chiedetemi come. Chissà perchè più antica è la fonte è più si ritiene sia attendibile. Perchè? Viene accettata come buona automaticamente e prevarica la fonte più recente.
Forse perchè l'attendibilità sta proprio nel suo essere antico. Il valore è attribuito perchè tale fonte è riuscita a superare il filtro del tempo. L'utile rimane dal passato, l'inutile persiste solo nel presente.
In origine gli uomini forse vivevano con spontaneità e innocenza senza preconcetti o presunzioni o fobie come avviene oggi. Capire il passato arcaico ci aiuterebbe a vivere meglio in attesa di una nuova origine o meglio, di una rigenerazione."

Ogni cosa ha una funzione, volge verso una direzione, evolve, ambisce. Ogni ente ha una finalità propria che rimanda alla specie, al genere e al sistema. Non posso de-finire un oggetto come "A" perchè così facendo si isola, mentre se lo indico come "A-verso" (A--->) ecco che includo anche la sua direzione, il diveniente. Ache se ogni realtà è relativa allo sapzio, al tempo, ecc. ciò che rimane come sostanza, il comune denominatore, è il volgere in se, "l'ambire".
E' curioso andare a scoprire quali sono quelle condizioni contrarie che ci mettono in contraddizione creando esempi di "A<---", ma poi si dovrebbe chiarire se certe situazioni siano anch'esse funzionali ad altri fini anch'essi coerenti... adesso mi sto perdendo un po':
per capire la "direzione" dobbiamo necessariamente scoprire l'origine che ci indica la funzione, il bisogno per cui è nato un cambiamento, ecc.

Pensavo, molto superficialmente, che Heiddeger fosse andato alla ricerca dell'origine della parola "essere" concludendo poi che si trattasse del tempo e che avesse intitolato la sua opera in quel modo omettendo l'accento sulla congiunzione. Poi, leggendo una introduzione a "essere e tempo" mi sono chiaramente ricreduto perchè tratta il problema dell'essere molto approfonditamente di come presumevo. Nulla toglie che H. abbia fatto quella ricerca dell'origine del significato dell'essere finendo per arenarsi forse in Anassimandro che, se non ricordo male, paragonava l'essere all'acqua, una definizione poco convincente per le esigenze di oggi.
FrancescoM73

 
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Masciullo
view post Posted on 8/7/2009, 18:00




Di antropologia ho letto solo Malinowski: "sesso e repressione sessuale tra i selvaggi" e "La vita sessuale dei selvaggi"; Totem e tabù di Freud; "Le origini dei poteri magici" di Durkheim, Hubert e M. Mauss; "Mito e significato" di Strauss; "origine ed evoluzione del linguaggio" autori nuovi italiani e in più ho fatto una ricerca Utet sull'origine della religione dalla quale ho conosciuto la "geografia" dei maggiori antropologi moderni.
Ribadisco che, volendo trovare spiegazioni sulla nostra storia attuale, dovremmo indagare prima sull'origine e, conseguentemente e coerentemente, sento il bisogno di "nutrirmi" di autori come quelli.
Caro ciampi20, su cosa intendo per direzione di A mi riprometto di rispondere al più presto. Ho avuto problemi di accesso e sono rallentato da impegni familiari e di lavoro.
P.s.
Queste discussioni non sono facilmente visibili dalla parte principale del forum. Ci ho messo un po' per trovarle poi casualmente.
 
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Codadilupo83
view post Posted on 10/7/2009, 01:56




Questo mio intervento è il medesimo in due discussioni, e questo perché mi pare esse si muovano su di un terreno in ultimo comune, ovvero quello che si pone il problema della origine, l’una più in generale, l’altra nello specifico della questione morale.
Ho letto cose molto virtuose ed interessanti in queste discussioni e così mi sono detto che era l’occasione di intervenire. L’origine. L’uomo. Il linguaggio. Le tribù. Ma ci sono queste cose? Heidegger, ad esempio, compie un lavoro straordinario etimologico-filosofico che un poco ricorda il vichiano tentativo di reciproca fecondazione filosofia-filologia (verum et factum conventuntur); e così il buon Martin ha consegnato una eredità al nostro presente filosofico che è decisiva e della quale non possiamo fare a meno. Ma prima di lui la genealogia nicciana: l’unico modo filosoficamente fondato di parlare della “storia” e dell’ “origine” (a parte il modo logico-metafisico del quale ho già scritto su Hegel e Derrida). Qui arriviamo al punto. Noi possiamo bensì parlare del passato e dire: vedi, questa è l’origine di quello che siamo, questo nostro uso deriva da questo, l’uomo viene dalla scimmia, il libro (il testo) viene dalla esportazione della carta dalla Cina in Europa dove si sono applicati “nuovi usi di vecchie funzioni”, per usare una espressione di Wright. Queste constatazioni storiche etnografiche filologiche antropologiche sono preziosissime. Ma qui la filosofia non è ancora arrivata, con il suo ronzio fastidioso e la sua puntura da tafano, con il suo sguardo spaesante e il suo occhio bovino. Essa arriva e chiede: caro amico, che legittimità ha il tuo dire? domandi, ma ogni domanda vuole l’origine? e all’origine sta la domanda? oppure, quale è l’origine del domandare? e può chi così domanda credere di catturare con la sua domanda lo stacco evenemenziale che ha dato avvio alla domanda, un luogo che non prevede domande e di cui non si può dare “definizione”? Certo, in quanto occidentali non possiamo che domandare, proprio nel momento del trionfo dell’occidente su scala planetaria. Ma se vogliamo esercitare la filosofia, ovvero celebrare la razionalità occidentale nella sua manifestazione più alta, non possiamo esimerci dal chiederci quale legittimità abbiamo di domandare e di domandare a ritroso così come facciamo. Abbiamo storicizzato tutta la “Storia Universale” (che, beninteso, non c’è mai stata prima di diventare oggetto di studio tra sette e ottocento), abbiamo reso quella scienza paradigmatica per l’umano che è la filologia il metro universale: ora dobbiamo storicizzare anche noi stessi. Nietzsche lo sapeva: verso un nuovo infinito, via da tutti i soli, da tutte le “nature”, scientifiche o meno, per redimere la pura natura. Ma che è questa? Una costruzione. La genealogia è anche essa una finzione, un’altra maschera. Ma una finzione che ha il merito di rendersi consapevole del suo errore, del suo necessario sognare; quando parliamo delle origini, della Grecia ad esempio, dobbiamo essere consapevoli che parliamo di noi, non dei Greci. Non possiamo fare altro che costruire questi artefatti, non possiamo fare altro che rimmemorare in errore, fare uno “spericolato uso del falso per dire il vero”, avrebbe detto Vico: ma non c’è altro da fare. La verità c’è, non è vero che non esista. Il fatto è che essa è relativa alle figure di mondo che incarna, è un dire in errore (necessario) la figura del suo evento indeclinabile che è l’assoluto ed è l’origine: ma sempre qui. Infatti l’origine non c’è mai, se non qui. E’ la vita vivente che ci attraversa, ciò di cui abbiamo sempre nostalgia nel ricordo, ma non perché essa appartenga ad un passato irrecuperabile: il rimmemorato infatti, essendo non altro nel suo significato che il contenuto della memoria, “in sé” non c’è mai stato: ovvero esso è sempre qui, nell’atto del rimmemorare. Non abbiamo nostalgia del passato (che non c’è mai stato se non nella figura del sapere), abbiamo nostalgia di ciò che è sempre qui ma che anche abbiamo sempre già perduto, della vita vivente ed eterna dell’animale e del dio, perduta per l’uomo nel sapere della morte, morte che soltanto accade qui e per l’animale non c’è mai: solo l’uomo muore, l’animale finisce, diceva Hegel, ed Heidegger confermava che “l’uomo è il mortale perché ha la morte in quanto morte, essa è in custodia al suo scrigno”. Ma state attenti ora: anche quello che ho scritto or ora, il mio parlare di “uomini” in generale, il mio parlare di “animali” e così via è una finzione. Essa è un modo tipico di quello specifico esercizio occidentale che è l’esercizio filosofico. Esso non è privo di verità, ma sa che la sua verità, genealogicamente, è una figura in errore della verità. Un significato (Bedeutung) che mira al senso (Sinn) il quale però non è mai definibile ed esauribile nel significato, essendo la garanzia di ogni e ciascun significato; esso tuttavia non sta altrove che nel significato, non è in un immaginario mondo dietro al mondo.
Ora, cosa ci dice la verità della filosofia, che negli ultimi due secoli, da Hegel, apice della metafisica, a noi, ha conosciuto così grandi sconvolgimenti, innanzitutto ad opera del divino Nietzsche? Che l’origine non c’è. Questo vuole dire che non possiamo più tollerare le storie sulla “natura” (che è un tipico oggetto culturale) ed innanzitutto la “natura umana”. Non c’è “L’uomo”, ci sono molte e varie umanità irriducibili (se non con la violenza della peculiare alfabetizzazione dell’occidente – ma questo è un lungo discorso che ci porterebbe lontano). E l’uomo non è una essenza, un fondamento fermo, è, come diceva Whitehead, un supergetto, qualcosa che è la sua stessa costruzione, o meglio, direbbe Carlo Sini, il riflesso delle sue pratiche di vita e del suo lavoro costruttore di automi, ovvero di cultura, di macchine (per questo non può ritornare alla vita vivente dell’animale, non può fuggire dalla sua cultura, dalle sue macchine culturali – non si sfugge dalla macchina, ne sapeva ben qualcosa Deleuze). Così non ha senso parlare di natura umana, di diritti di natura e così via: “l’uomo” non è una essenza da ricercare, ma è un prodotto sempre di nuovo da esibire nel suo momentaneo autotetico risultato. E sia ben chiaro: non è, l’uomo, neanche qualcosa di stabile biologicamente, scientificamente. Anche questo è un prodotto di una determinata cultura, che ha bensì la sua correttezza, ad esempio medica, ma che non si deve scambiare per una verità “in sé”. Innanzitutto, molto genericamente, perché sarebbe ora di mettersi in testa che è da Hegel che non ha più senso di parlare di cose “in sé” staccate dall’operare umano; in secondo luogo, perché il corpo biologico è in cammino ed in opera da Aristotele (Artaud diceva che è ora di “farla finita con il giudizio di Dio”: ma il giudizio di Dio è il giudizio di Aristotele, la sua anatomia, della quale dobbiamo liberarci per “grattare via il pidocchio della mortalità”) e quindi non è di ogni umanità, come fantasticano taluni. Tutto ciò non è un chiacchierar a vanvera naturalmente, ha le sue praticissime applicazioni: innanzitutto in politica (è sempre, Da la Repubblica di Platone, una questione politica), dove questo sopportare il pensiero del relativo e dell’infinito copernicano (non siamo ancora copernicani) sarebbe una utile via per finirla con chiacchiere sulla democrazia come giusto e ultimo fine della storia (e che al limite, in quanto giusto fine dell’uomo “in sé”, si può anche esportare con la forza per il bene di quei selvaggi che non la vogliono) o della “sacralità” della vita e dell’essere persona dell’embrione – discorsi da bar, discorsi che sono decisamente contro ogni decenza filosofica e che servono i desideri di vita eterna di alcuni che vorrebbero imporli con inaudita violenza a tutti e ciascuno. Incarnare una etica che ha dato l’addio al fondamento assoluto: questo è il compito oltreumano del pensiero odierno, con tutti i rischi, ma forse anche le gaie prospettive, che il rischio comporta. Imparare a tramontare, nell’epoca in cui di fatto l’occidente con il suo irresistibile sapere tramonta e trionfa, diventando, al di là del bene e del male, mondiale.

P.S. In realtà il pensiero presocratico non pensa, almeno fino a Parmenide, l’essere come lo pensiamo noi, anzi: forse come il pensiero cinese (molti hanno visto affinità tra il Tao e i presocratici) non ha alcun interesse verso l’essere, piuttosto verso il divenire. Ora, se si prende sul serio quello che ho scritto più sopra, proprio la necessità di sopportare la catastrofe di ogni figura determinata della verità, perché la verità continui a vivere, è la necessità del nostro tempo. I saggi cinesi suggerivano di “essere come l’acqua, che accompagna il mutamento e non occlude il passaggio”: un grande insegnamento che dovremmo fare nostro, per non cadere nel peccato della tenacia, che già Peirce vedeva come un grande errore, l’errore di volere immobilizzare il transito della verità in una smorfia mortifera, finendo per pensarla come i nostri “spensierati ingegneri”, come diceva Nietzsche.
 
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ciampi20
view post Posted on 11/7/2009, 14:36




Caro Codadilupo,
questo tuo intervento nelle sue intenzioni e anche in parte nel suo svolgimento è simile a quello che avrei voluto fare io in risposta ai vari interventi sull'origine,l'antropologia ecc.ecc. Fino a questo momento non ero entrato volutamente nel discorso in termini filosofici come hai fatto te. Ovviamente non basta dire "ecco questo è l'origine dell'uomo..vedi era una scimmia ecc.ecc.". L'ingenuità di questa prospettiva è palese anche a me ed è rilevabile soprattutto dal punto di vista filosofico da te sviluppato. La "pura natura", la genealogia (dal punto di vista linguistico: una parola vuol dire qualcosa nelal misura in cui chi la pronuncia vuole qualcosa...una costruzione "consapevole"..sono d'accordo.
Sono d'accordo sul fondamento fermo in che dovrebbe consistere l'essenza umana.L'essenza di una cosa è solo un'opinione sulla cosa.Ma un'opinione di chi?Non si deve chiedere "chi interpreta?" perchè l'interpretazione è una forma della volontà di potenza.Il sorgere delle cose è interamente opera di chi rappresenta vuole pensa inventa.O per dirla con Deleuze "Una cosa ha tanti sensi quante sono le forze capaci di impadronirsene.
Il tuo discorso va alla radicalità della faccenda. Nella genealogia della morale Nietzsche scrive appunto " in ogni campo hanno importanza soltanto gli stadi superiori.."L'origine intesa come genealogia può essere determinata solo in rapporto agli stadi superiori.
La critica che fa Nietzsche al modo di domandare platonico "che cos'e'?" e alla distinzione essenza-apparenza.Quelle domande come hai fatto notare te possono essere non legittime o anche non ben poste.la domanda "chi?" è sicuramente migliore. Dire "che cos'e'?" significa porsi inconsapevolmente e in modo goffo ,cieco la domanda "Chi?"..è un dar senso.
Il passato che non c'e' mai stato se non nella figura del sapere,scrivi te. Che dire...perfetto! Certamente!!Nostalgia della vita eterna dell' animale...sì..come nella seconda inattuale..

ahah diritti di natura...nel mio video sulla natura umana dico "non mi soffermo neanche a parlare dei diritti naturali "..è piu' forte di me..parlo di tutto ma certe cose... :)
Sulla democrazia e sulla sacralità della vita..sono d'accordo con te...

Il P.S. che hai inserito è molto bello e mi ha fatto venire in mente le parole di Henri Miller: “Una volta pensavo che essere umano fosse la maggior meta dell’uomo, ma oggi vedo che questo significava distruggermi. Oggi mi vanto di poter dire che sono disumano, che appartengo non agli uomini e ai governi, che non ho nulla a che fare coi credi e coi principi. Non ho nulla a che fare con la cigolante macchina dell’umanità – io appartengo alla terra."

Questo rifiuto di ogni sovrastruttura ribalta la posizione dell’uomo dinnanzi al mistero dell’esistenza, lo reintegra a pieno diritto in quel cosmo da cui ha tentato di estranearsi, rende immediatamente inutili le disquisizioni filosofiche che lo hanno torturato per secoli. E il canto dell’artista si mescola al fruscio del fiume, travolge ogni cosa, si veste dello stesso impeto. E oggi un artista che non sia filosofo e un filosofo che non sia artista non ci servono piu'!
CITAZIONE (Codadilupo83 @ 10/7/2009, 02:56)
Questo mio intervento è il medesimo in due discussioni, e questo perché mi pare esse si muovano su di un terreno in ultimo comune, ovvero quello che si pone il problema della origine, l’una più in generale, l’altra nello specifico della questione morale.
Ho letto cose molto virtuose ed interessanti in queste discussioni e così mi sono detto che era l’occasione di intervenire. L’origine. L’uomo. Il linguaggio. Le tribù. Ma ci sono queste cose? Heidegger, ad esempio, compie un lavoro straordinario etimologico-filosofico che un poco ricorda il vichiano tentativo di reciproca fecondazione filosofia-filologia (verum et factum conventuntur); e così il buon Martin ha consegnato una eredità al nostro presente filosofico che è decisiva e della quale non possiamo fare a meno. Ma prima di lui la genealogia nicciana: l’unico modo filosoficamente fondato di parlare della “storia” e dell’ “origine” (a parte il modo logico-metafisico del quale ho già scritto su Hegel e Derrida). Qui arriviamo al punto. Noi possiamo bensì parlare del passato e dire: vedi, questa è l’origine di quello che siamo, questo nostro uso deriva da questo, l’uomo viene dalla scimmia, il libro (il testo) viene dalla esportazione della carta dalla Cina in Europa dove si sono applicati “nuovi usi di vecchie funzioni”, per usare una espressione di Wright. Queste constatazioni storiche etnografiche filologiche antropologiche sono preziosissime. Ma qui la filosofia non è ancora arrivata, con il suo ronzio fastidioso e la sua puntura da tafano, con il suo sguardo spaesante e il suo occhio bovino. Essa arriva e chiede: caro amico, che legittimità ha il tuo dire? domandi, ma ogni domanda vuole l’origine? e all’origine sta la domanda? oppure, quale è l’origine del domandare? e può chi così domanda credere di catturare con la sua domanda lo stacco evenemenziale che ha dato avvio alla domanda, un luogo che non prevede domande e di cui non si può dare “definizione”? Certo, in quanto occidentali non possiamo che domandare, proprio nel momento del trionfo dell’occidente su scala planetaria. Ma se vogliamo esercitare la filosofia, ovvero celebrare la razionalità occidentale nella sua manifestazione più alta, non possiamo esimerci dal chiederci quale legittimità abbiamo di domandare e di domandare a ritroso così come facciamo. Abbiamo storicizzato tutta la “Storia Universale” (che, beninteso, non c’è mai stata prima di diventare oggetto di studio tra sette e ottocento), abbiamo reso quella scienza paradigmatica per l’umano che è la filologia il metro universale: ora dobbiamo storicizzare anche noi stessi. Nietzsche lo sapeva: verso un nuovo infinito, via da tutti i soli, da tutte le “nature”, scientifiche o meno, per redimere la pura natura. Ma che è questa? Una costruzione. La genealogia è anche essa una finzione, un’altra maschera. Ma una finzione che ha il merito di rendersi consapevole del suo errore, del suo necessario sognare; quando parliamo delle origini, della Grecia ad esempio, dobbiamo essere consapevoli che parliamo di noi, non dei Greci. Non possiamo fare altro che costruire questi artefatti, non possiamo fare altro che rimmemorare in errore, fare uno “spericolato uso del falso per dire il vero”, avrebbe detto Vico: ma non c’è altro da fare. La verità c’è, non è vero che non esista. Il fatto è che essa è relativa alle figure di mondo che incarna, è un dire in errore (necessario) la figura del suo evento indeclinabile che è l’assoluto ed è l’origine: ma sempre qui. Infatti l’origine non c’è mai, se non qui. E’ la vita vivente che ci attraversa, ciò di cui abbiamo sempre nostalgia nel ricordo, ma non perché essa appartenga ad un passato irrecuperabile: il rimmemorato infatti, essendo non altro nel suo significato che il contenuto della memoria, “in sé” non c’è mai stato: ovvero esso è sempre qui, nell’atto del rimmemorare. Non abbiamo nostalgia del passato (che non c’è mai stato se non nella figura del sapere), abbiamo nostalgia di ciò che è sempre qui ma che anche abbiamo sempre già perduto, della vita vivente ed eterna dell’animale e del dio, perduta per l’uomo nel sapere della morte, morte che soltanto accade qui e per l’animale non c’è mai: solo l’uomo muore, l’animale finisce, diceva Hegel, ed Heidegger confermava che “l’uomo è il mortale perché ha la morte in quanto morte, essa è in custodia al suo scrigno”. Ma state attenti ora: anche quello che ho scritto or ora, il mio parlare di “uomini” in generale, il mio parlare di “animali” e così via è una finzione. Essa è un modo tipico di quello specifico esercizio occidentale che è l’esercizio filosofico. Esso non è privo di verità, ma sa che la sua verità, genealogicamente, è una figura in errore della verità. Un significato (Bedeutung) che mira al senso (Sinn) il quale però non è mai definibile ed esauribile nel significato, essendo la garanzia di ogni e ciascun significato; esso tuttavia non sta altrove che nel significato, non è in un immaginario mondo dietro al mondo.
Ora, cosa ci dice la verità della filosofia, che negli ultimi due secoli, da Hegel, apice della metafisica, a noi, ha conosciuto così grandi sconvolgimenti, innanzitutto ad opera del divino Nietzsche? Che l’origine non c’è. Questo vuole dire che non possiamo più tollerare le storie sulla “natura” (che è un tipico oggetto culturale) ed innanzitutto la “natura umana”. Non c’è “L’uomo”, ci sono molte e varie umanità irriducibili (se non con la violenza della peculiare alfabetizzazione dell’occidente – ma questo è un lungo discorso che ci porterebbe lontano). E l’uomo non è una essenza, un fondamento fermo, è, come diceva Whitehead, un supergetto, qualcosa che è la sua stessa costruzione, o meglio, direbbe Carlo Sini, il riflesso delle sue pratiche di vita e del suo lavoro costruttore di automi, ovvero di cultura, di macchine (per questo non può ritornare alla vita vivente dell’animale, non può fuggire dalla sua cultura, dalle sue macchine culturali – non si sfugge dalla macchina, ne sapeva ben qualcosa Deleuze). Così non ha senso parlare di natura umana, di diritti di natura e così via: “l’uomo” non è una essenza da ricercare, ma è un prodotto sempre di nuovo da esibire nel suo momentaneo autotetico risultato. E sia ben chiaro: non è, l’uomo, neanche qualcosa di stabile biologicamente, scientificamente. Anche questo è un prodotto di una determinata cultura, che ha bensì la sua correttezza, ad esempio medica, ma che non si deve scambiare per una verità “in sé”. Innanzitutto, molto genericamente, perché sarebbe ora di mettersi in testa che è da Hegel che non ha più senso di parlare di cose “in sé” staccate dall’operare umano; in secondo luogo, perché il corpo biologico è in cammino ed in opera da Aristotele (Artaud diceva che è ora di “farla finita con il giudizio di Dio”: ma il giudizio di Dio è il giudizio di Aristotele, la sua anatomia, della quale dobbiamo liberarci per “grattare via il pidocchio della mortalità”) e quindi non è di ogni umanità, come fantasticano taluni. Tutto ciò non è un chiacchierar a vanvera naturalmente, ha le sue praticissime applicazioni: innanzitutto in politica (è sempre, Da la Repubblica di Platone, una questione politica), dove questo sopportare il pensiero del relativo e dell’infinito copernicano (non siamo ancora copernicani) sarebbe una utile via per finirla con chiacchiere sulla democrazia come giusto e ultimo fine della storia (e che al limite, in quanto giusto fine dell’uomo “in sé”, si può anche esportare con la forza per il bene di quei selvaggi che non la vogliono) o della “sacralità” della vita e dell’essere persona dell’embrione – discorsi da bar, discorsi che sono decisamente contro ogni decenza filosofica e che servono i desideri di vita eterna di alcuni che vorrebbero imporli con inaudita violenza a tutti e ciascuno. Incarnare una etica che ha dato l’addio al fondamento assoluto: questo è il compito oltreumano del pensiero odierno, con tutti i rischi, ma forse anche le gaie prospettive, che il rischio comporta. Imparare a tramontare, nell’epoca in cui di fatto l’occidente con il suo irresistibile sapere tramonta e trionfa, diventando, al di là del bene e del male, mondiale.

P.S. In realtà il pensiero presocratico non pensa, almeno fino a Parmenide, l’essere come lo pensiamo noi, anzi: forse come il pensiero cinese (molti hanno visto affinità tra il Tao e i presocratici) non ha alcun interesse verso l’essere, piuttosto verso il divenire. Ora, se si prende sul serio quello che ho scritto più sopra, proprio la necessità di sopportare la catastrofe di ogni figura determinata della verità, perché la verità continui a vivere, è la necessità del nostro tempo. I saggi cinesi suggerivano di “essere come l’acqua, che accompagna il mutamento e non occlude il passaggio”: un grande insegnamento che dovremmo fare nostro, per non cadere nel peccato della tenacia, che già Peirce vedeva come un grande errore, l’errore di volere immobilizzare il transito della verità in una smorfia mortifera, finendo per pensarla come i nostri “spensierati ingegneri”, come diceva Nietzsche.

 
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Codadilupo83
view post Posted on 11/7/2009, 19:35




P.P.S. Correggo quell'erroraccio che non avevo visto nella bozza: "E' da Hegel che non ha più senso parlare..."
 
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ciampi20
view post Posted on 12/7/2009, 07:59





CITAZIONE (Codadilupo83 @ 11/7/2009, 20:35)
P.P.S. Correggo quell'erroraccio che non avevo visto nella bozza: "E' da Hegel che non ha più senso parlare..."

non ti preoccupare, vedrai di peggio in questi forum...soprattutto nei miei interventi
 
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Masciullo
view post Posted on 17/7/2009, 21:01




La mia polemica nasce dalla presunzione comune agli uomini di ritenersi superiori, "altro" dal resto del mondo. Ciò è indotto da una cultura "recente" che pone l'uomo al centro del mondo ecc. Mentre, all'origine, in epoca preistorica gli uomini erano considerati "parte" del tutto, v. l'animismo.

La soggettivazione che tanto ci ha dato in termini di ricerca, ci ha anche portato al nichilismo. Escludendo il resto da me si è finito per escludere anche noi stessi.
Se estrapolo "a" dal contesto e pretendo così di trovare una de-finizione ponendolo in un recinto finito, finisco anche col perdere il suo significato. Tanto è vero che la ricerca accademica divide e suddivide le sue discipline in specializzazioni sempre più infinitesimali arroccate e chiuse in loro stesse. Per com-prendere o intendere (non trovo la parola) una tal cosa non dovremmo quindi de-finirla, ridurla a poccoli pezzi sempre più circoscritti, ecc. ma dovremmo al contrario, scusate il termine orribile, infinitizzarla.

Se considero "a" non posso prescinderlo da "A" che a sua volta fa parte di "A,B,C..." che a sua volta fa parte della grammatica, ecc. Non solo, qualsiasi cosa non è a se stante ma funge, ha una funzione ben precisa nell'insieme. Ogni cosa è movimento, energia che non si muove in modo casuale o caotico ma ha determinati socpi e finalità.
Per dare un'idea vorrei aprire una piccola parentesi sull'Essere anche se non è l'oggetto della mia riflessione abituale. Porto l'esempio di un Essere "fisico" anzichè metafisico. Mettiamo l'esempio che all'origine dell'universo l'Essere fosse l'ovulo primordiale dal quale tutto nasce e tutto ritorna. Ad un certo punto, a seguito di un errore o accidente, quest'ovulo di energia pura esplode generando l'universo come lo conosciamo oggi. L'ideale a questo punto sarebbe di "ritornare" a quell'originario incorrotto è puro rappresentato dall'ovulo in cui tutte le cose erano un Uno.
Pertanto, possiamo desumere che non solo ogni azione di ogni entita della natura volge, propende, ambisce a ritornare in quell'Uno ideale, ma anche che il Bene può consistere nel compiere quelle azioni che più ci avvicinano alla forma compatta di un tempo, mentre il male sta nel compiere azioni che al contrario, ci allontanano. Poi, e mi dispiace constatarlo, dobbiamo ammettere che l'attuale "condizione", la diversificazione dell'Uno, è un realtà orribile: la natura, gli alberi, i paesaggi e noi stessi siamo, in realtà, un qualcosa di orrendo rispetto alla "condizione ideale" ormai persa. Tutto ciò, l'orribile esistenza, genera l'angoscia e le sue conseguenze.

Non solo "A" è parte inscindibile da tutti gli elementi della natura, ma "A" volge (in virtù della propensione verso l'Essere a cui è stata data l'immagine di energia incorrotta) in una direzione precisa e "singolare". Ed è forse questa singolarità -l'ambire- ha rappresentare quell'unicità che ognuno di noi, come ogni altro ente, "reclama" e ci rende diversi, unici nell'insieme.
La direzione (A--->), è un "dover essere particolare" che si compie in armonia col tutto per perseguire una finalità ben precisa: sottrarsi alla "condizione".

Ritornando sulla infinitizzazione per "definire" es. l'uomo, mi sono "dovuto" porre ad un certo punto, in una prospettiva che avesse uno spettro più ampio possibile e accogliesse in se quanti più elementi possibili:
cosa sarebbe l'uomo senza il mondo che lo circonda? Sarebbe come un sordo, muto e cieco. Cosa sarebbe l'uomo senza il mondo interiore, quello dei sentimenti, i ricordi, le emozioni? Sarebbe come un automa, ecc. Dobbiamo constatare che siamo "composti" da un mondo esterno e un mondo interno che, apparentemente, è altro da noi mentre invece ci sostanzia poichè altrimenti, non saremmo. Vi è un terzo elemento che funge da collante fra il mondo esteriore e quello interiore ed è la coscienza. A me piace chiamarla consapevolezza per non confondersi con la coscienza fraudiana. La consapevolezza non è solo un "sapersi" ma è quell'"essere consapevole" di trovarsi in una "condizione", l'esistenza, e che volgiamo verso l'Essere, ecc. La consapevolezza non è solo singolare di noi stessi, ma è anche, per via del suo stesso sussistere, una consapevolezza ambivalente di uno e del tutto, una consapevolezza cosmica.

Penso di aver dato un po' l'idea. Ho dilatato forse troppo il tema, ma visto che ci si trova su un forum posso approfondire in seguito alcuni punti poco chiari.
 
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Masciullo
view post Posted on 29/7/2009, 18:31




Cerco dunque, il "senso" riposto in ogni cosa. Non possiamo negare che noi, come ogni elemento del sistema ed il sistema stesso (mondo animale, vegetale, minerale, ecc.), percorriamo una direttrice che realizza le nostre prerogative. Se al contrario lasciassimo tutto al caso sarebbe il caos, quel caos superato all'alba dei tempi. Anche l'eterno ritorno sarebbe funzionale all'ordine delle cose: se dopo la notte non ritornerebbe il giorno, e di volta in volta si avrebbe un'altra manifestazione sempre differente, ci troveremmo appunto nel caos. L'eterno ritorno poi, ed è bene sottolineare, non segue un circolo chiuso e identico ma, almeno dal punto di vista storiografico, procede ad aspirale cioè ogni volta si ripete abbracciando in se realtà sempre maggiori.
Se il senso del fiore è sbocciare dobbiamo mettere in condizione il fiore di sbocciare per fare una cosa buona e giusta. Quindi, in virtù di ciò, dovremmo mettere in condizione gli uomini di "sbocciare", ecc. Ma quali sono le prerogrative di noi uomini? Qual'è il nostro senso, la finalità, cosa ci realizza in pieno, in funzione di, qual'è l'ambire?
Sembra assurdo, ma non c'è, a quanto mi risulta, una risposta univoca a queste domande. Eppure si tratta di noi stessi, esseri che dovremmo conoscere benissimo. La sensazione che nella nostra società si vada avanti perseguendo intenti e finalità effimere è palpabile.
Conviene ritornare al punto di partenza e porsi un obiettivo: "conosci te stesso".

Rispondere a tali domande non è poi tanto difficile. Scusate la modestia. Mi vien da ridere quando sento quelle dissertazioni astruse sulla ricerca del piacere che appiattiscono il genere ad una figura immonda, avida di godimenti indefiniti e inappagabili, il tutto immerso in una cultura religiosa sovrastante che inneggia alla parsimonia, alla rinuncia, la continenza se non alla sofferenza come mezzo e fine per una "presunta" redenzione ultramondana.
Vi ho scorto, e correggetemi se sbaglio, una cronologia riguardo al fine ultimo: fino ai greci si è creduto appunto, che gli uomini ambissero al piacere, ad un piacere vago e non ben precisato. Dai greci fino ad oggi il concetto di piacere è stato soppiantato dal concetto di libertà che, a sua volta, nella pratica, viene spesso confuso nella libertà di propcacciarsi un qualche piacere, un piacere confuso a sua volta col sentimento di felicità.
Sulla libertà ci vorrebbe una discussione a parte ma voglio fare un'escursione provocatoria. Aldilà del fatto che io amo porre la libertà insieme a quei sentimenti non-iscrivibili e quindi erronei come miraggi nella loro applicazione pratica che sarebbero: il bene, l'infinito, la felicità, l'eternità, l'assoluto fino all'amore che è forse fra tutti, l'unico sentimento che può essere "contenuto" se, al contrario di quanto si fa di solito, s'inverte il processo concettuale pescando dalla pratica per poi avviare una costruzione teorica.
Perseguire fortemente la "libertà" -buttata li come una banconota in un convitto di indigeni della foresta- presuppone implicitamente che ci sia una qualche oppressione. Come si fa a reclamare una libertà se non evidenzio e pongo sullo stesso piano la causa che mi opprime? Ho bisogno di liberarmi: corro immediatamente in bagno. In sostanza, più che la libertà in se, appesa ad un aquilone lontano nel cielo, devo conoscere innanzi tutto cosa è che m'incatena, ecc. E, dunque, se non conosco il senso delle mie azioni non potrò identificare l'ostacolo, l'oppressione o, meglio, la condizione e, conseguentemente, rimuoverla per liberarmi.

Ritornando alla "facilità di risposta" ai nostri enigmi voglio tener presente che si tratta di una mia personale predisposizione d'animo alla ricerca: niente è difficile, tutto è facile, al limite è articolato; non c'è nè sopra nè sotto, tutto è orizzontale.
Invece di prendere di petto la civiltà attuale piena di articolazioni strutturate, sublimate nella stratificazione del tempo, è bene operare delle semplificazioni, ridurre ai minimi termini, trovare il massimo comune denominatore, ecc.
Se osserviamo il comportamento degli animali possiamo già farci un'idea "semplice" di espressioni biologiche "rudimentali". A questo punto molti obietteranno: noi non siamo animali. E qui casca l'asino: la presunzione citata all'inizio si affaccia adombrando pensieri e conclusioni.
Per far ciò, l'osservazione di animali inferiori e superiori, occorre un complesso di materie da concertare: biologia, etologia, zoologia e, in relazione con l'uomo, antropologia, etnologia, sociologia e, in relazione con l'ambiente, geologia, climatologia, ecc.
Mi fermo qui per oggi.
 
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Masciullo
view post Posted on 24/8/2009, 14:40




Riflessioni su l'evento strorico

La storia è formata da una serie di eventi i quali, a loro volta, sono generati da una serie di fatti i quali, a loro volta, nascono dalle singole azioni degli uomini.

Il punto dell'indagine è capire come e perchè si sceglie di compiere una determinata azione.
Ho constatato che esistono 3 tipi di azioni: azioni prodotte, azioni indotte (re-azioni) e azioni concomitanti o sinergiche.

Le azioni prodotte si possono raggruppare in tutte quelle manifestazioni che l'individuo compie in modo implicito. Sono cioè, delle scelte fatte autonomamente tramite: sentimenti, istinto, aspirazioni personali, talento, bisogni biologici e sociali, carattere, ambizioni varie, ecc. tutte azioni concernenti il nostro "mondo interiore" che, in una prima analisi, si contrappone al "mondo esteriore".

Al contrario, le azioni indotte o induzioni o re-azioni, nascono da delle necessità che vengono imposte dall'esterno. Per cui, molte delle nostre scelte sono compiute in base a condizioni che il mondo circostante ci presenta e noi siamo appunto, indotti a compiere delle varianti che si conciliano coi nostri bisogni interiori. Se voglio fare una passegiata (azione), uscendo mi accorgo che piove, per cui sono costretto (induzione) a prendere l'ombrello o a desistere.

Ne conviene che l'agire è regolato da un rapporto di forza tra le prerogative umane e quelle della natura. Le azioni prodotte s'impongono al mondo circostante > e, vicevera, la natura s'impone verso gli altri esseri < creando così un miscuglio di variabili infinite.

Le azioni concomitanti hanno il carattere di sinergia dove due "mondi", apparentemente "estranei", agiscono insieme per un vantaggio comune. Il fiore è colorato per attrarre l'insetto e svolgere l'impollinazione; il frutto è dolce perchè gli animali, e l'uomo, lo mangino e, spargendo poi i semi, permettono alla pianta di conquistare nuovi spazi vitali. Queste azioni sono apparentemente più rare e difficili da dimostrare ma, da un punto di vista ampio, il mondo, nella sua interezza, si muove nel complesso con azioni concomitanti. Queste azioni si verificano fra specie o generi diversi e, specificatamente agli uomini, fra popoli, famiglie e individui diversi.

Ogni scelta non è compiuta a caso ma è funzionale. Tale funzione converge sempre verso una finalità ben precisa e nasce da una necessità ben precisa. Per capire la "direzione" di un tipo di azione, dobbiamo conoscere qual'è la sua finalità, l'ambire. Parimenti, dobbiamo supporre che gli elementi induttivi esterni hanno a loro volta delle finalità autonome.

Questo processo funziona con le stesse modalità sia in ambito universale che particolare.
Inoltre, facendo un'analisi più approfondita dell'agire prodotto -l'insieme delle azioni che l'individuo compie in base a volontà personali, intime, immanenti- si può scorgere che anch'esse sono regolate, a loro volta, da contrasti interni che si verificano tra azioni nobili e "re-azioni" di contrasto meno nobili. Mentre scrivo compio un'azione nobile, ma sentendo la necessità di nutrirmi sono costretto a smettere venendo "indotto" a compiere un'azione, pur sempre implicita, interna, personale, propria, ma meno nobile.
In questo modo si è portati a fare una gerarchia di azioni che hanno una priorità sulle altre e a ciò può essere benissimo legato il concetto di libertà.

Ricollegandomi al discorso dell'energia come base che ci costituisce, dobbiamo valutare il nostro agire come governato da impulsi e pulsioni che ci muovono in un groviglio di azioni e reazioni che si susseguono e si contrastano, ma sospinti sempre da un fine preciso, particolare o generale che sia.
L'evento storico è dunque generato dall'insieme di qusti fattori. Conoscendo le finalità, gli impulsi che spingono un individuo o una società a "muoversi" in un certo modo e tenendo presente le varie induzioni assunte durante il cammino, potremmo avere una visione più nitida della successione degli eventi.
 
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10 replies since 27/6/2009, 10:43   252 views
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